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Testo della canzone

Era de maggio e te cadéano ‘nzino,
a schiocche a schiocche, li ccerase rosse.
Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciento passe.
Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
na canzone cantávamo a doje voce.
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce.
E diceva: “Core, core,
core mio, luntano vaie,
tu mme lasse, io conto ll’ore.
Chisà quanno turnarraje”.
Rispunnev’io: “Turnarraggio
quanno tornano li rrose.
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá.
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá”.
E só’ turnato e mo, comm’a na vota,
cantammo ‘nzieme lu mutivo antico.
Passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ‘ammore vero no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje,
si t’allicuorde, ‘nnanz’a la funtana.
Ll’acqua, llá dinto, nun se sécca maje
e ferita d’ammore nun se sana.
Nun se sana. Ca sanata,
si se fosse, gioja mia,
‘mmiez’a st’aria ‘mbarzata,
a guardarte io nun starría!.
E te dico: “Core, core,
core mio, turnato io só’.
Torna maggio e torna ‘ammore.
Fa’ de me chello che buó’!.
Torna maggio e torna ‘ammore.
Fa’ de me chello che buó!”.

Testo della canzone tradotto

Era di maggio e ti cadevano in seno,
A ciocche, a ciocche, le ciliegie rosse.
Fresca era l’aria e tutto il giardino
Odorava di rose da cento passi.
Era di maggio; io, no, non me dimentico,
Una canzone che cantavamo a due voci!
Più tempo passa e più me ne ricordo,
Fresca era l’aria e la canzone dolce.
E diceva: “Cuore, cuore!
Cuore mio, lontano vai!
Tu mi lasci, io conto le ore.
Chissà quando tornerai!”
Rispondevo io: “Tornerò
Quando tornano le rose.
Se questo fiore torna a maggio,
Anche a maggio io sarò qua!
Se questo fiore torna a maggio,
Anche a maggio io sarò qua!”
E sono tornato ed ora, come una volta,
Cantiamo insieme la canzone antica.
Passa il tempo ed il mondo cambia,
Ma l’amore vero, no, non cambia vicolo!
Di te, bellezza mia, mi innamorai,
Se ti ricordi, davanti alla fontana.
L’acqua, là dentro, non si secca mai,
E ferita d’amore non si guarisce!
Non si guarisce, perché se guarita
Si fosse, gioia mia,
Tra quest’aria imbalsamata,
A guardarti io non starei!
E ti dico: “Cuore, cuore!
Cuore mio, io sono tornato!
Torna maggio e torna l’amore.
Fa’ di me quello che vuoi!
Torna maggio e torna a me.
Fa’ di me quello che vuoi!”

Esposizione commentata e ambientazione
Alcuni, sostengono che Era de maggio sia l’opera magna della canzone digiacomiana, altri che sia la più bella canzone che l’Italia abbia prodotto tra il XIX e il XX secolo. Qualunque sia la verità è evidente che Era de maggio sia speciale anche tra i classici; il binomio Di Giacomo-Costa, confermatosi più volte vincente grazie all’inimitabile dote del compositore di interpretare la personale sensibilità di Di Giacomo, si è espresso al massimo del suo potenziale in questo componimento del 1885. In questa lirica, l’autore cristallizza in un duetto di voci ispirato ai trovatori duecenteschi un momento determinante nella storia d’amore tra i due giovani protagonisti intenti a fare i conti con una dolorosa separazione forzata, rendendolo al contempo una memoria astratta dal tempo e uno scorcio molto concreto che sottintende i drammi del popolo partenopeo di quella precisa epoca storica, le cui circostanze non potranno mai ripetersi né essere altrimenti comprese. Dipinta a pennellate del dialetto colto e al contempo genuino che caratterizza l’autore, la scena che apre il componimento immerge l’ascoltatore in un “ciardin’”, un tipo di frutteto misto di alberi nativi e piante aromatiche caratteristico del centro di Napoli e dei casolari nell’immediata periferia, in pieno maggio, che, come l’amore tra i personaggi, sboccia al culmine del periodo di fioritura.
Lo scenario è arioso e maestoso e pervade tutti e cinque i sensi, che sfumano l’uno nell’altro grazie alla rima alternata, ma nonostante la carica vitale la scena è permeata di malinconia, poiché il ragazzo deve partire per un tempo imprecisato; forse per la guerra, forse per emigrare, fatto sta che, come molti suoi contemporanei, è probabile che non tornerà mai. Egli però si mostra ottimista, quasi idealista a riguardo, promettendo alla ragazza di tornare nuovamente a maggio, anche se di un futuro remoto e imprecisato. La ragazza si mostra invece più realista, piangendo della sua impotenza e incapacità di sopportare la distanza. La seconda stanza racconta una scena futura in cui lo stesso scenario si ripresenta inalterato, con il ragazzo che contro ogni aspettativa riesce a fare ritorno tenendo fede alla promessa. È evidente che nel frattempo però qualcosa nelle loro vite sia cambiato irreparabilmente e non siano più le stesse persone, soprattutto la ragazza, che in questa scena non interviene e non è chiaro se sia davvero presente. Il protagonista si esprime in un lungo monologo in cui paragona la natura che si rinnova ciclicamente nonostante il mondo cambi alla ferita dell’amore che nonostante tutto non si può mai sanare, ma sul finale si rassegna al fatto che forse la persona che ama non esiste più.

Genesi e retroscena
Salvatore Di Giacomo scrisse il componimento all’origine di questa canzone ispirandosi molto probabilmente a un canto popolare veneto già esistente, di cui però non fece un semplice adattamento, ma apportò notevoli modifiche e aggiunte, fino a trasformare l’identità del testo originale in uno spaccato di vita della gente comune di Napoli e delle sue tragedie quotidiane, in un ambiente così caratteristicamente partenopeo da essere una delle capsule del tempo più eloquenti dell’800 napoletano post-unitario, se si sa come ascoltarla. Ciò, intenzionale o meno che fosse, è una risorsa preziosissima in un’epoca storica in cui l’annessione italiana del regno borbonico si è accompagnata ad una storiografia ufficiale servile alla causa di dipingere i territori meridionali come pericolosi e arretrati, così da giustificarne la prevaricazione culturale. Molto reale e sentito all’epoca era inoltre il problema della scomparsa dei cittadini coscritti o costretti a emigrare, di cui in media solo l’1% tornava a casa e molti smettevano di dare notizie di sè.
Mario Pasquale Costa, talentuoso compositore indipendente di origini napoletane, era stato presentato a Di Giacomo dal collega Calfiero e in quel periodo erano nel pieno di una sinergica e proficua collaborazione. Fu proprio Costa a proporre di adattare in musica il testo di Era de maggio per partecipare all’edizione del 1885 della Festa di Piedigrotta, dopo la cancellazione dell’anno precedente a causa dell’epidemia di colera. La canzone, adattata splendidamente e con un rispetto non indifferente dell’originale ritmo dei versi, fu un immediato successo.
Ad oggi sono impossibili da enumerare tutti gli artisti famosi, quali Lucio Dalla e Franco Battiato, che l’hanno interpretata, ma la versione più famosa è senza dubbio quella di Roberto Murolo.